IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta a ruolo
 il  3  dicembre  1992  e  segnata  al  n.  r.g.  887/1992,   discussa
 all'udienza  del  14  maggio  1993  promossa  da Marasigan Francisca,
 rappresentata e difesa, per procura a margine del  ricorso  di  primo
 grado,  dall'avv. Giorgio Bellotti, via G. Monaco 25, Firenze, presso
 il cui studio elegge domicilio, appellante,  contro  Vivoli  Luciano,
 rappresentato  e  difeso,  per procura in calce alla copia notificata
 del ricorso introduttivo di primo grado, dall'avv. Andrea  Tosi,  via
 B.  Varchi 14, Firenze, presso lo studio elegge domicilio, appellato-
 appellante  incidentale,  avente  ad   oggetto:   lavoro   domestico,
 licenziamento  a  causa  di maternita', nullita', mancata previsione,
 questione    non    manifestamente    infondata    di    legittimita'
 costituzionale, appello.
    Marasigan  Francisca,  collaboratrice domestica a tempo pieno alle
 dipendenze di Vivoli Luciano,  e'  stata  da  costui  licenziata  con
 effetto  alla  data  di inizio del periodo di astensione obbligatoria
 dal lavoro per maternita'.
    La lavoratrice ha adito il pretore  del  lavoro  di  Firenze,  con
 ricorso  depositato  il 23 aprile 1992, chiedendo di dichiarare nullo
 il  licenziamento,  previa   rimessione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  perche'  dichiari  la  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, terzo comma, della legge 30 dicembre 1971, n.  1204,  in
 riferimento  agli  artt.  3, 4, 31, 35 e 37 della Costituzione "nella
 parte in cui, diversamente dalle ipotesi tutte previste per le  altre
 lavoratrici  madri, per le quali il licenziamento, durante il periodo
 di conservazione del  posto  di  lavoro  deve  ritenersi  nullo  (non
 inefficace), lo consente per le lavoratrici domestiche".
    Costituitosi il contraddittorio, il pretore, con sentenza n. 15-29
 settembre 1992, n. 915, ritenuta manifestamente infondata l'eccezione
 di  illegittimita' costituzionale sulla base dei precedenti specifici
 di Corte costituzionale nn. 27/1974 e 9/1976, respingeva il  ricorso,
 compensando le spese.
    Ha  proposto  rituale  appello la Marasigan Francisca, con ricorso
 depositato il 3 dicembre 1992, riproponendo le medesime questioni  di
 minorata  tutela delle lavoratrici domestiche in raffronto alle altre
 lavoratrici, alla luce dell'evoluzione culturale del  Paese  e  della
 giurisprudenza  costituzionale  successivamente  alle citate sentenze
 nn.  27/1974  e  9/1976,  significate  dalle  leggi  nn.  903/1977  e
 125/1991, nonche' dalla sentenza Corte costituzionale n. 61/1991.
    Ritualmente  costituito, l'appellato ha resistito, ricordando come
 la giurisprudenza costituzionale  sia  consolidata  nel  senso  della
 legittimita'  di  una  tutela  differenziata  del  lavoro  domestico,
 correlata alla sua specialita'; citava al riguardo la sentenza  Corte
 costituzionale 23 dicembre 1987, n. 585.
                              R I L E V A
    Nella  presente causa si controverte sulla legittimita' o meno del
 licenziamento per causa di maternita' di una lavoratrice domestica.
    Allo stato attuale della  legislazione  tale  possibilita'  esiste
 perche'  la  legge  30  dicembre  1971,  n.  1204,  si  applica  alle
 lavoratrici  domestiche  non  nella  sua  interezza,  ma  nei  limiti
 stabiliti dall'art. 1, terzo comma (per le norme protettive), e dagli
 artt.  13  e  segg.  (per  il trattamento economico). L'art. 1, terzo
 comma, non richiama l'art. 2, contenente il divieto di  licenziamento
 nel periodo di interdizione obbligatoria, che e' pertanto ammesso.
    L'appellante  ritiene  che  questa  limitazione  di  tutela  della
 maternita' per le lavoratrici domestiche a  raffronto  con  le  altre
 lavoratrici comporti una violazione dei precetti costituzionali sopra
 richiamati (artt. 3, 4, 31, 35 e 37 della Costituzione).
    Sul punto si e' ripetutamente pronunciata la Corte costituzionale,
 con le sentenze nn. 27/1974 e 9/1976 citate.
    Perno  della  motivazione di rigetto della Corte e' la specialita'
 del rapporto di lavoro domestico. Esso in effetti e' disciplinato dal
 capo secondo del titolo quarto del libro quinto  del  codice  civile,
 che rende applicabili le norme del lavoro nell'impresa solo in quanto
 compatibili  con  la  specialita' del rapporto. Tale specialita' e' a
 fondamento sia delle sentenze specifiche sul tema, sopra  richiamate,
 sia  anche  di  altre,  anche  recenti, pronuncie su temi collaterali
 (Corte costituzionale 23 dicembre 1987, n. 585; Corte  costituzionale
 25  febbraio-10  marzo  1988,  n.  276  (quale  obiter dictum); Corte
 costituzionale 20-27 aprile 1988, n. 486; quest'ultima,  in  tema  di
 mancata   indennita'   giornaliera  di  maternita'  alle  lavoratrici
 apprendiste disoccupate, ha ribadito che "l'art. 38,  secondo  comma,
 della  Costituzione,  pur  imponendo  al legislatore di assicurare ai
 lavoratori mezzi adeguati alle loro  esigenze  di  vita  in  caso  di
 malattia,  non  gli impone altresi' di considerare in modo eguale, ai
 fini assicurativi, tutte le varie forme di prestazione dell'attivita'
 lavorativa, e che il lavoro domestico  e',  per  la  sua  particolare
 natura,  tale  da  differenziarsi  sostanzialmente,  sia in relazione
 all'oggetto, sia  in  relazione  ai  soggetti  interessati,  da  ogni
 rapporto di lavoro.
    Analogo   sembrerebbe   il   ragionamento   per  la  tutela  della
 maternita'.
    A tale riguardo si deve precisare che la maternita' non  e'  priva
 di qualsiasi tutela nel rapporto domestico.
    Al   riguardo   vengono  in  rilievo  non  tanto  le  disposizioni
 richiamate dall'art. 1, terzo comma,  bensi'  soprattutto  quelle  di
 carattere  indennitario di cui agli artt. 13, 15, 17 e 19 della legge
 n. 1204.
   L'art. 1, terzo comma, rende applicabili  al  lavoro  domestico  le
 norme  di  cui  agli  artt. 4, 5, 6, 8 e 9 del titolo primo, e cioe',
 essenzialmente, il divieto di adibizione al  lavoro  nel  periodo  di
 astensione  obbligatoria,  e  suoi  corollari.  Trattasi tuttavia, e'
 doveroso notarlo, di  una  tutela  apparente,  perche',  non  essendo
 richiamato   l'art.   2  sul  divieto  di  licenziamento,  l'apparato
 normativo richiamato puo' essere facilmente  e  legittimamente  eluso
 sic et sempliciter con il licenziamento.
    Piu' efficace la tutela indennitaria di cui agli artt. 13, 15, 17,
 terzo  e  quarto comma, e 19, primo comma, in forza del cui combinato
 disposto alla lavoratrice domestica licenziata non piu'  di  sessanta
 giorni prima dell'inizio del periodo di astensione obbligatoria (come
 nel  caso di specie, nel quale il licenziamento e' stato intimato con
 effetto alla data di inizio dell'astensione stessa) ha diritto ad una
 indennita' di maternita'.
    Tutela certamente inferiore a quella assicurata  alle  lavoratrici
 subordinate nell'impresa, analoga alla tutela minima della maternita'
 di  cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546 (Indennita' di maternita'
 per le lavoratrici  autonome)  e  legge  11  dicembre  1990,  n.  379
 (Indennita' di maternita' per le libere professioniste). Ma mentre la
 tutela  meramente  indennitaria per queste ultime categorie trova una
 ragione giustificatrice nella struttura  delle  rispettive  scelte  e
 prestazioni lavorative e nella non riferibilita' ad esse del presidio
 dell'art.  37  della Costituzione (Corte costituzionale sentenza 2-21
 aprile 1993, n. 181), l'analoga minor tutela  nel  lavoro  domestico,
 che  e' pur sempre un rapporto di lavoro subordinato presidiato anche
 dall'art. 37 Cost., e' suscettibile di  produrre  quelle  conseguenze
 negative  e  discriminatorie  sulla  salute della donna e del bambino
 cosi' ben evidenziate in Corte costituzionale 28  gennaio-8  febbraio
 1991,  n.  61,  che  ha  ritenuto  la  sanzione  di  inefficacia  del
 licenziamento,  in  luogo  della  sua   nullita',   insufficiente   a
 salvaguardare quei valori.
    Pertanto,  considerati  il  rilievo  che  la  Carta costituzionale
 attribuisce al matrimonio ed alla famiglia legittimi, alla maternita'
 ed alla sua funzione sociale, alla protezione del bambino;  il  grado
 di  tutela  che  appresta a difesa di tali valori; l'evoluzione della
 normativa e della giurisprudenza costituzionale in tal senso,  specie
 negli  anni  piu' recenti (Corte costituzionale 28 gennaio-8 febbraio
 1991, n. 61, Corte costituzionale 28 gennaio-10 febbraio 1993, n.  46
 e  Corte  costituzionale  2-21 aprile 1993, n. 179), questo tribunale
 ritiene non  manifestamente  infondato  il  dubbio  che  tali  valori
 costituzionalmente  protetti  debbano prevalere sulla specialita' del
 rapporto; ritiene quindi di non dovere precludere, con una  prematura
 delibazione  di  manifesta infondatezza, l'esame da parte della Corte
 delle questioni prospettate dalla difesa della Marasigan, anche  alla
 luce  dei  precetti  costituzionali  di  cui agli artt. 29 e 31 della
 Costituzione.